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da
«Messalina»
di Mario Benzing
(...) Faceva
caldo, era quasi sera, e cielo e mare promettevano
una bellissima notte d'estate. Una buona
occasione per banchettare più lautamente del solito,
all'aperto, sulla tolda. E Tamaso raccolse a una sola mensa, riccamente
imbandita, tutti i passeggeri e i marinai. Consumate le vivande,
continuarono a scorrere il cecubo, il falerno, il massico e altri vini
prelibati, fra canti e risa. D'un tratto, alcuni zittirono, poi, tutti
rimasero in ascolto. Una voce chiamava dal mare, una voce vicina eppur
lontana, stranamente chiara e insieme profonda:
- Tamaso, mi odi?
Per quanto temprato dalle tempeste e foggiato da una vita di lotta, Tamaso
si sentì agghiacciare il sangue e dovette farsi forza per salire sulla
prua. La luna d'agosto era già alta nel cielo terso, fitto di splendori
che il mare ripeteva moltiplicandoli, placido, liscio e tutto deserto.
Soltanto un'isoletta c'era, in fondo, sull'orizzonte. La voce ripeté:
- Tamaso, mi odi?
Come poteva giungere così forte e distinta da un'isola tanto lontana? E
all'intorno, non c'era nessuno, nulla, se non la notte di seta e di
velluto, d'argento e d'oro liquido. Tamaso rispose:
- Ti odo. Chi sei?
- Non cercar di saperlo - rispose la voce sovrumana. -Porta agli uomini
questa nuova: Pan, il gran Pan è morto!
La voce si ruppe come in un singhiozzo, e altre voci risuonarono, voci di
pianto e di lamento che sembravano vibrare nell'Universo, come se allo
schianto di un dolore sovrumano partecipassero l’acqua, il cielo e gli
astri. A grado a grado, il coro si allontanò, si affievolì, e la notte
tornò come prima, di una serenità e
di uno splendore sovrumani. Tamaso e i suoi commensali rimasero impietriti
dallo stupore fino all'alba. All'alba si levò una lieve brezza, e il
terrore della
notte dileguò. (...)
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