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David Herbert Lawrence

«L'arcobaleno»

 

La prefazione di Mario Benzing


Forse nessuno ebbe mai più organica e più possente la facoltà di avversione e ripulsione. David Herbert Lawrence aveva un vero orrore delle cose spurie e viete, detestava le forme moderne e meccaniche del gregario, e il suo disprezzo delle "divinità economiche" – il meccanismo, il capitalismo e certi aspetti del collettivismo – era superato solo da quello che provocavano in lui coloro che sacrificavano a quelle divinità.

Scevro sempre d’ogni compiacenza e affettazione, forse soprattutto per la sincerità naturale dello spirito essenzialmente primitivo, egli procedè sicuro, inalterabile nelle sue attitudini, irremovibile nelle sue convinzioni, attraverso angustie e triboli d’ogni sorta – fu sospettato anche di connivenza col nemico, durante la guerra, perché sua moglie era tedesca - producendo nuovi libri ogni anno, nonostante l’avversione del pubblico, nonostante la moltitudine e l’accanimento dei suoi avversari. Fu tacciato immorale, perverso, demoniaco; e ora, alla luce della critica più obiettiva, egli appare un mistico animato da un senso morale superiore, gran creatore dell’essere, meteorologo lirico della natura umana, e anche il severo Elliot deve riconoscere che "Lawrence aveva un Vangelo".

Dai suoi giudizi, sempre applicati esattamente a particolari individualità, non è facile dedurre una morale. Pure è evidente ch’egli vedeva nel matrimonio non solo l’unico mezzo che permetta di giungere alla "realtà sessuale", ma anche la fonte stessa di quell’equilibrio di scambi ch’egli voleva stabilire tra la coscienza e l’istinto.

Egli è l’unico che abbia rappresentato, in un mondo di vicende comuni, dei personaggi in contatto con cose immense, in momenti di sensazioni impenetrabili e incommensurabili a qualsiasi disamina psicologica, rivelando con la suggestione la presenza degli elementi indicibili. Una suggestione che viene di fuori dell’ambito della descrizione, e che è la sua arte più personale e mirabile, tanto profusa ne L’Arcobaleno: chi potrà dimenticare o superare l’incontro di Tom con Lidia, la spola di Anna e Will tra i covoni, la comunione di Will con la cattedrale, la "frenesia lunare" della giovane Orsola, il primo bacio di Antonio reduce dal Sud Africa, il connubio sotto la quercia?

Tra il romanzo obiettivo e il romanzo di confessioni egli creò questo nuovo genere di romanzo pervaso dalla presenza quasi occulta di Eros, che è stato chiamato "d’incantesimi". Non più erotico del genere più puritano, realmente, esso costituisce una trasposizione del pietismo su un piano carnale, nel quale la carne non è quella che esalta una sensibilità atea, ma una carne sublimata, quasi soprannaturale per un magnetismo misterioso.

Non è vero che anche questo genere sia nato dalle teorie di Freud. Lawrence studiò e commentò l’opera di Freud, ma non all’inizio della sua carriera letteraria; e si ricordi che ancora nel 1912 Freud era pressoché ignoto in Inghilterra. D’altronde, i presupposti e i concetti fondamentali di Lawrence sono evidentemente diversi e contrari a quello di Freud. Nel pensiero di Lawrence la psicoanalisi non è che una veste d’imprestito, sotto la quale si rivela un’anima grande, primitiva nell’essenza, di nobiltà e gentilezza innate, stranamente in armonia con la natura.

Lawrence fu un genio, un mistico sempre ispirato, "un uomo proiettato dall’orlo della morte ad un altro pianeta", ma in fondo fu sempre un fanciullo sino alla sua fine, un fanciullo fremente, insofferente di brutalità e falsità, il che spiega forse più d’ogni altra cosa quel potere di adesione lirica che fu forse il suo dono più positivo. Quello che più ricordano di lui coloro che lo conobbero personalmente, è il candore dei suoi occhi azzurri, inalterato anche in fondo alle orbite scavate dall’etisia.

Nacque nell’anno 1885 a Eastwood, nella contea di Nottingham, figlio d’un semplice minatore. Soggiornò a lungo anche in Italia, sul Garda, a Lerici, Piccinisco, Capri, Taormina, Spotorno, Scandinicci; viaggiò molto negli ultimi anni, in America, nell’Australia, nell’Oriente. Morì il 2 marzo 1930 in un sanatorio di Vence, sulle Alpi Marittime.

Mario Benzi (1937)

 

 


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